Non bisogna nascondersi, chi ci sta vicino deve avere la possibilità di stupirci.

Dell’inizio ho solo qualche ricordo accompagnato da sensazioni fisiche molto forti, quelle non le ho mai dimenticate. Furono quattro mesi molto confusi: il benessere di cui avevo sempre goduto, e che davo per scontato, aveva lasciato il posto ad una serie di sintomi pesanti, difficili da gestire e da capire. Ero abituata ad un corpo presente, che rispondeva ad ogni mio sforzo, che migliorava con l’allenamento, che mi accompagnava bracciata dopo bracciata; in poco tempo non è stato più così, ma la testa non voleva desistere. Noi tutti siamo convinti che diventeremo il massimo, finché quello che chiamiamo ‘destino’ delude le nostre aspettative e ci pone di fronte ad ostacoli che sembrano insormontabili. Nessuno mette in conto di potersi aspettare nella vita la diagnosi di una malattia cronica, finché le parole del medico non risuonano forte e chiaro nelle orecchie, poi nella testa, e poi ancora nel cuore.

invisible body disabilities
© Chiara DeMarchi 2016

Ho la rettocolite ulcerosa da nove anni, e il mio rapporto con lei è cambiato molto nel tempo. I primi anni sono stati confusi, mi sono dovuta abituare ad una nuova routine: farmaci, visite, ospedali. Era difficile fermarsi a pensare. Ragionare su quello che mi stava succedendo avrebbe voluto dire anche accettarlo, e io non ero pronta.

Ma non è possibile combattere contro se stessi tutta la vita, ed il mio corpo l’ha capito prima della mia mente.

Mi ha costretta a fermarmi, ad accettare piano piano i nuovi limiti che mi poneva, a rivoluzionare la mia vita ed i miei sogni. Ho finito il liceo cercando di godermi al massimo il tempo con gli amici, per continuare ad alimentare la parte di me che conoscevo da sempre, quella che esisteva prima della diagnosi. Ho trasformato le mie aspirazioni agonistiche in un brevetto per fare l’istruttrice di nuoto e ho scoperto una passione nuova in quello che facevo, meno competitiva, più dolce. Dopo la maturità ho avuto il piacere di sperimentare tre anni di quasi totale remissione: avevo trovato il farmaco giusto, rispondevo bene. Ho avuto qualche ricaduta leggera, tutte superate senza troppe complicazioni. Non mi ricordavo più cosa volesse dire vivere così serena. La rettocolite ulcerosa è tornata a farsi sentire all’inizio del corso di laurea Magistrale. Ero disorientata e spaventata, ma in un modo nuovo rispetto ai primi anni di malattia. Sapevo cosa mi aspettava, cercavo di gestire al meglio le giornate per non cedere, non volevo che i sintomi mi condizionassero la vita e lottavo contro una rassegnazione passiva che si presentava spesso come facile possibilità. Non ho più risposto efficacemente a nessun farmaco.

Vivevo in un tempo sospeso, un tempo che non lascia spazio a progetti perché impone di vivere la giornata ora per ora.

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© Chiara DeMarchi 2016

E’ un aspetto molto difficile da comprendere per chi ci sta vicino. Spesso stavo male per ore, mi capitava soprattutto di notte, ma quando mi riprendevo la voglia di recuperare il tempo perso era talmente forte che facevo di tutto per apparire serena, tanto che poche persone erano a conoscenza della diagnosi. Questa determinazione è stata un’arma a doppio taglio: da un lato mi ha permesso di vivere senza sentirmi costantemente malata, dall’altro la paura di essere ‘etichettata’ come tale mi ha portato a non condividere con gli altri ciò che provavo davvero. [su_pullquote align=”right”]Non bisogna nascondersi, chi ci sta vicino deve avere la possibilità di stupirci. [/su_pullquote]Sono stati due anni difficili, fisicamente e mentalmente estenuanti. Mi sentivo divisa in due: una parte della mia mente era impegnata nel cercare di vivere al massimo ogni esperienza e l’altra metà condizionata dalla gestione dei sintomi, dalla paura e dal disagio della possibilità continua di stare male lontano da casa. Nessuno dei farmaci provati in questa lunga ricaduta mi ha portata in remissione, l’unica opzione rimasta era l’operazione chirurgica. E’ stato difficile da accettare. Nonostante sapessi bene che è un percorso scritto nella storia clinica di molti pazienti con IBD e il mio gastroenterologo avesse cercato di prepararmi a questa possibilità (i suoi sforzi li ho capiti solo più tardi), non riuscivo a concepire che stesse succedendo proprio a me. Mi sembrava tutto troppo difficile, troppo pesante da affrontare. La paura di non riuscire a tollerare gli inevitabili cambiamenti corporei che accompagnano l’intervento mi ha fatto dimenticare per un attimo tutto il dolore e il disagio che in realtà avevo già imparato a sopportare. Poi ho capito che avrei potuto finalmente investire le mie energie in un percorso sicuramente difficile, ma che alla fine mi avrebbe permesso di riprendere in mano la mia vita. La forza con cui ho affrontato l’operazione e la convalescenza non è tutta merito mio. Comprendere profondamente il dolore degli altri è un processo complesso, ma condividerlo è possibile e io ho avuto la splendida possibilità di sperimentarlo.

Sono davvero fortunata e vorrei gridarlo al mondo, perché tante persone mi sono state vicine in modo autentico. [su_pullquote align=”left”]Senza di loro non sarei arrivata tranquilla in sala operatoria e i giorni in ospedale sarebbero sembrati interminabili.[/su_pullquote] I miei genitori, mia sorella e mio fratello non mi hanno fatta sentire sola un attimo, anche quando le mura e gli orari dell’ospedale non rendevano possibile la vicinanza fisica. Cosimo, il mio compagno, è la mia roccia e riesce ad essere forte per entrambi anche nei momenti in cui a me sembra tutto troppo difficile. Grazie ai miei amici, agli zii, ai cugini e ai nonni non ho mai perso il sorriso. Il mio medico e gli infermieri del reparto di gastroenterologia sono da sempre un importante punto di riferimento. Il mio corpo è cambiato, è vero, ma l’ho accompagnato in questo percorso con una consapevolezza che non avrei mai pensato di poter raggiungere. Mi guardo allo specchio con naturalezza, ho trovato un nuovo equilibrio accogliendo i cambiamenti imposti dalla chirurgia. Ho riscoperto il piacere di prendermi cura di me stessa e ho riconquistato la spensieratezza persa nove anni fa. Ho ricominciato a fare progetti per il futuro, a lavorare alla mia tesi di laurea magistrale, a viaggiare. Tutto è di nuovo possibile. Mi aspetta un secondo intervento, e sono pronta ad affrontarlo.

Laura, colite ulcerosa – “Women Fighters” 2017 Linea Edizioni, All rights reserved – © copyright Chiara DeMarchi 

 

Accettare il proprio corpo e vivere con esso non é facile, specie dopo un intervento. E per questo ammiro Laura, ammiro tutto di lei e sono immensamente onorata per avermi permesso di condividere la sua rinascita e positività, non vergognandosi o nascondendosi per quello che ha dovuto affrontare.

Chiara DeMarchi
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© Chiara DeMarchi 2016